Per capire esattamente cosa sono i digital public good conviene prima separare la parola digital da public good. I public good, in primis, sono beni che per la loro stessa natura (non rivale e non escludibile) fanno parte di tutta la comunità e non possono essere appropriati dal privato.
La storia dell'open source
Negli anni '50 e '60, i pionieri della tecnologia Internet e dei protocolli di rete per le telecomunicazioni lavoravano all'interno di un ambiente di ricerca caratterizzato da apertura e collaborazione e danno lo slancio all'open source.
L'Advanced Research Projects Agency Network (ARPANET), che in seguito sarebbe diventata la fondazione dell'Internet moderno, promuoveva un approccio di lavoro aperto, incoraggiando la condivisione di revisioni e feedback tra colleghi ed esperti IT.
I gruppi di utenti collaboravano attivamente nella creazione dei codici sorgenti e li condividevano liberamente. I forum fornivano un mezzo per agevolare l'interazione e contribuivano a stabilire gli standard per una comunicazione e una collaborazione aperte.
Quando Internet fu lanciata nei primi anni '90, i principi di collaborazione, peer review, comunicazione e approccio aperto erano ormai solidamente radicati, diventando i pilastri fondamentali della sua evoluzione.
All'inizio del 1998, nacque l'Open Source Initiative (OSI), formalizzando il concetto di open source e creando una definizione comune e universalmente accettata nell'ambito dell'industria. Nonostante all'epoca il movimento open source fosse ancora visto con sospetto, alla fine degli anni '90 e all'inizio degli anni 2000, questo movimento, originariamente periferico nell'ambito della produzione software, si trasformò nel dominante standard dell'industria che conosciamo oggi.
Cosa si intende con il termine open source?
Spostando il contesto ai beni comuni digitali, ci riferiamo alla filosofia dell’open source. Gli open source in generale sono software ricoperti da licenze d’uso “copyleft” (GNU, GPL per esempio). Queste licenze danno libertà di utilizzazione, di modifica e di distribuzione a titolo gratuito. In parola più chiare, il codice sorgente del programma può essere letto, modificato per migliorie o per proprie esigenze e in caso ridistribuito.
I software open source vengono creati dalla folla di informatici, senza nessuna ricompensa monetaria, si riescono ad organizzare e a lavorare secondo il concetto della common based production, la produzione collettiva.
Un sistema decentralizzato che fa affidamento sull’autonoma identificazione da parte di ciascuno dei contributori dell’apporto che è in grado di dare al progetto comune, secondo i propri desideri e le proprie capacità fino alla produzione di tale bene digitale, che ne risulterà pubblico, cioè gratuito. Tali coordinamenti avvengono in piattaforme digitali come github.com.
Questo concetto è in netta contrapposizione ai modelli di produzione tradizionali dove si ha un sistema gerarchico di incentivi economici per la produzione del bene digitale privato. Dove il bene digitale viene ricoperto da un brevetto o da diritti d’autore, il “copyright”, e l’uso sarà a pagamento.
I DPG non riguardano solo gli open software, ma anche gli open data, open AI model, open standard e open content. L’open è il cuore di un bene pubblico digitale.
La Digital Public Goods Alliance (DPGA)
Nel 2015 l’ONU ha redatto i Sustainable Development Goal (SDG), sono 17 obbiettivi interconnessi “per ottenere un futuro migliore e sostenibile per tutti” e possono essere visionabili sul loro sito. Attraverso questi obbiettivi le Nazioni Unite hanno esaminato il modo migliore per sfruttare al meglio le tecnologie digitali e lavorare su strategie di impatto sociale, economico.
Nasce così nel 2019 la Digital Public Goods Alliance una multi-stakeholder con lo scopo di “accelerare i Sustainable Development Goal nei paesi a basso e medio reddito facilitando la scoperta, lo sviluppo, l’uso e gli investimenti in beni pubblici digitali”.
Nella pratica la DPGA si occupa principalmente di quattro aree:
- Stabilire la definizione di DPG, i criteri di valutazione e di requisiti per essere definita tale.
- Tenere un registro di DPG col principale obbiettivo di facilitarne la scoperta e la diffusione.
- Individuare e sfruttare al meglio i DPG grazie a una comunità di esperti.
- Sperimentare e implementare i DPG all’interno degli stati.
Da qua è possibile vedere tutti i progetti open attivi o in via di sviluppo nelle nazioni e i loro impatti sui Sustainable Development Goal.
I vantaggi dei Digital Public Good
Adottare i DPG offre una serie di vantaggi da molti punti di vista: il primo da considerare è quello economico, il pubblico o il privato adottando soluzioni open, essendo gratuite, abbattono i costi interni portando un benessere collettivo maggiore.
Il fatto che sia gratuito non vuol dire che sia meno efficiente, la trasparenza del codice consente ai programmi una certa flessibilità, consentendo a tutti di modificarlo secondo le proprie esigenze e necessità, di ispezionarlo e di implementarlo se vi sono criticità o migliorie da effettuare, rilasciando quindi continui aggiornamenti e/o versioni.
Successivamente, grazie alla trasparenza dei programmi sappiamo come vengono trattati i dati degli utenti in maniera chiara e precisa, avendo le “best practice” nel campo della privacy e della sicurezza.
Per concludere, i Digital Public Good fanno parte di una cornice molto più ampia che è la cultura dell’Open, dove la condivisione di informazioni, di conoscenza fruisce senza condizioni e in libertà, creando e trovando nuovi modelli di innovazione rivoluzionari per il bene della collettività.